Raffaella Lupinacci, calabrese di nascita (Acri, Cosenza) e bolognese di adozione, ha studiato sotto la guida del Maestro Alberto Zedda. Il suo debutto è nell'estate 2012: selezionata per l'Accademia Rossiniana di Pesaro, interpreta Marchesa Melibea nel Viaggio a Reims. Da questo momento inizia una brillante carriera che la porta ad essere Cherubino ne Le Nozze di Figaro al Teatro dell'Opera di Roma, Donna Elvira al Teatro Comunale di Bologna diretta dal Maestro Mariotti, Dorabella al Teatro Carlo Felice di Genova e Suzuki al Teatro San Carlo di Napoli, con la regia di Ferzan Ozpetek.
- Ci stiamo finalmente lasciando alle spalle il terribile 2020. Come l'hai vissuto e come è stato gestito, secondo te, il settore dello spettacolo dal vivo in Italia?
- È stato indubbiamente un anno molto difficile e il nostro settore sicuramente uno di quelli maggiormente penalizzati dal Covid-19. Io ho affrontato questo anno con estrema serenità; sono per natura ottimista e cerco di guardare al futuro sempre con fiducia, nonostante le evidenti difficoltà. Ho studiato molto e mi sono dedicata ai miei affetti e ho avuto anche la fortuna-privilegio, di debuttare un ruolo tanto desiderato: Giovanna Seymour in Anna Bolena a Vilnius in Lituania. Lo spettacolo dal vivo in Italia, per ora, è morto, come in gran parte del mondo, tranne poche eccezioni (Spagna per esempio). Personalmente avevo diversi impegni all'estero e sono stati tutti posticipati o cancellati. Dunque, il problema della gestione dello spettacolo dal vivo è presente in tutto il mondo, con la differenza che fuori dall'Italia c'è maggiore attenzione nei confronti degli artisti, in primis da parte degli stessi Teatri che, nel mio caso, scritturano i cantanti. Io credo che in questo momento la gestione della situazione sanitaria sia al primo posto, ma è necessario far ripartire la macchina il prima possibile e in totale sicurezza. Spero che questo possa avvenire al più presto.
- L'opera ha dovuto adattarsi alle dirette streaming, cosa ne pensi?
- Le dirette streaming possono essere una soluzione temporanea, per permettere al pubblico di respirare arte e a noi e alle maestranze di continuare ad esprimersi e lavorare. Ma il teatro ha soprattutto una funzione sociale e di comunicazione, basata sullo scambio di emozioni, e questo avviene solo in presenza.
- Sei artisticamente cresciuta con il Maestro Zedda. Un aneddoto che ricordi in particolare?
- Devo al Maestro l'inizio della mia carriera e della mia crescita all'interno di un ambiente affascinante quanto difficile. Il Maestro Zedda è stato per me un modello di stile, quello rossiniano e belcantista, ma anche un Maestro di vita con i suoi modi spesso burberi e sempre molto diretti. Mi ha regalato molte emozioni, mi ha fatto piangere tante volte di gioia e tante di tristezza, ma tutto è stato costruttivo. Ricordo la mia audizione per l' accademia Rossiniana. Non avevo alcun tipo di esperienza di palcoscenico, non avevo agenzia , mi ero trasferita a Bologna dalla Calabria da qualche mese, non conoscevo molto del Festival e dei personaggi intorno ad esso. Alcuni amici, già in carriera, si preparavano per affrontare questa audizione, che per molti avrebbe segnato la svolta, con i loro agenti. L'accademia Rossiniana è una vetrina importantissima, una grande opportunità. Bene, io decisi di iscrivermi. Molte delle persone a me vicine erano contrarie al fatto che io mi presentassi in audizione: nessuna esperienza, nessun agente, ad uno stadio troppo iniziale. Da "calabrese Doc" decisi di prendere il treno Bologna – Pesaro e di presentarmi all'Audizione. Entrai nel teatro Rossini. Una voce dal fondo della platea mi chiese con cosa volessi iniziare; eravamo obbligati a presentare due arie a scelta, di cui una di Rossini. Io portai "Parto" dalla Clemenza di Tito e "Di tanti palpiti" dal Tancredi. Decisi di iniziare subito con Rossini. Alla fine della prova quella voce si fece più vicina: era il Maestro. Incominciò ad insultarmi, a dirmi che ero un robot, che ero fredda etc.. Io iniziai a pensare che avessero ragione tutti quelli che mi avevano caldamente suggerito di non presentarmi, ma... ad un certo punto incominciò a dirmi cose bellissime concludendo con questa frase, rivolgendosi alla sua dolcissima segretaria: “Francesca scrivi, io la prendo” e poi a me “sarai la nostra Melibea...certo se oggi pomeriggio arrivano la Terrani e la Horne magari ci penso”. Così, dal nulla, mi ritrovai a Pesaro e tutto ebbe inizio.
- Sappiamo che sei da sempre legata al compositore Gioachino Rossini, in che modo hai affrontato e approfondito lo studio delle sue opere?
- Indubbiamente gli anni al Rof sono stati formativi, con la possibilità di ascoltare e confrontarmi con i grandi rossiniani della nostra epoca, di debuttare con grandi direttori d'orchestra rossiniani e registi, di avere il Maestro Zedda come guida per diversi anni. Tutto questo è stato ed è fondamentale, insieme ad uno studio molto ferrato e disciplinato con il mio grande maestro di tecnica, Fernando Opa, che mi segue da anni con pazienza, entusiasmo, affetto ed estrema professionalità.
- A marzo sarai Leonora ne La Favorita di Donizetti al Teatro La Monnaie di Bruxelles. Vuoi anticiparci qualcosa?
- Leonora segna il mio secondo debutto in un grande personaggio donizettiano, dopo Giovanna Seymour nell'Anna Bolena (ruolo e personaggio che amo profondamente). Inutile descrivere la gioia, sono onorata di poter affrontare un ruolo così significativo per il mezzosoprano, peraltro in un teatro di forte respiro europeo come la Monnaie di Bruxelles. A causa della contingente situazione sanitaria, l'opera sarà rappresentata in forma di concerto, probabilmente con il 25% del pubblico. Sono previste tre serate. Il ruolo di Leonora è indubbiamente molto impegnativo, ma offre molte sfide che, se accolte con intelligenza e umiltà, possono offrire tanti spunti di crescita.
- Il ruolo che hai amato e il ruolo che sogni di interpretare?
- Ho amato la maggior parte dei ruoli interpretati fino a questo momento, sicuramente Carmen, Giovanna Seymour e donna Elvira sono quelli per i quali nutro speciale affetto e che accolgo sempre con grande entusiasmo. Non sogno un ruolo in particolare, spero solo di poter andare avanti così come sto facendo, con impegno, onestà intellettuale e salute (ovviamente, senza quest'ultima il resto è vano).
- L'Italia è il Paese giusto per questa professione?
- Beh, l'Italia è la patria dell'Opera. La materia prima indubbiamente c'è ed è di altissima qualità. Sta a chi ci governa, ai dirigenti e responsabili del settore (direttori artistici e sovrintendenti) far bene il proprio lavoro e avere cura del nostro straordinario patrimonio artistico, musicale, culturale. La sensazione è che, a parte alcune realtà (La Scala di Milano, ad esempio), in Italia ci siano tanti teatri, anche di prestigio, che non riescono a compiere fino in fondo la propria missione. Infatti, tanti artisti si sentono più “garantiti” dai teatri fuori dall'Italia.
- Sono curiosa di sapere qualcosa del tuo rapporto con Bologna, la mia città...
- Bologna è la mia seconda casa. Ci vivo da dieci anni e mi sono sentita accolta e amata da subito. Mi ha offerto tante possibilità. La amo molto.
- La tua giornata ideale?
- Studio, sport, lettura e film. Mi piace molto prendermi cura dello spazio in cui vivo e delle persone a me vicine. In momento non pandemico approfitto per andare a vedere qualche mostra o altri eventi culturali; Bologna in questo senso offre tantissimo.
Potete seguire tutte le novità su Raffaella Lupinacci nella sua pagina Instagram a questo link (link).
Giusi Cuccaro